Brand e storytelling: l’obiettivo è incantare
11-11-2022
Definite alla perfezione dal sociologo della comunicazione e dei medi narrativi, Andrea Fontana, nel suo Storie che incantano: il lato narrativo dei brand, edito da ROI Edizioni, le storie che incantano sono sempre più importanti per chi fa comunicazione e marketing.
Una storia che incanta sa, infatti, come catturare l’attenzione, lasciare di stucco e far battere i cuori. Come scrive Fondana: “Oggi, non è più sufficiente raccontare storie – dobbiamo raccontare storie che incantano”. Racconti che sanno parlare e “guadagnare” l’animo del pubblico, sorprendendolo e sbalordendo con la loro meraviglia.
Imparare a far battere i cuori
Si tratta, ormai, di un passaggio fondamentale per esaltare e far emergere, dal rumore generale dei media, il proprio messaggio. Ecco perché, in un mondo in cui finzione e reale sono sempre più difficilmente distinguibili, capire come costruire storie che incantano è una carta vincente. Una carta immediatamente riconoscibile, capace di lasciare a bocca aperta e sconvolgere, regalando qualcosa di inatteso ed emozionante.
Attraverso le storie che incantano, infatti, un marchio riesce a circondare i propri prodotti e servizi di un alone magico di sorpresa e mistero, che ne esalta le caratteristiche creando un mondo esclusivo e ammaliante, fatto di valori in cui il pubblico vuole riconoscersi, addentrarsi e sentirsi parte. Perché, come scrive Fontana: “Una storia che incanta non parla solo di noi, parla anche di noi”.
L’importanza dello storytelling
A guidare le scelte di comunicazione e posizionamento del brand è lo storytelling, da non confondere con content marketing e content curation. Perché, se è vero che “tutte le storie sono contenuti, non tutti i contenuti sono storie presentate in forma narrativa”. Lo storytelling serve per plasmare significati in forma narrativa, rinsaldare il legame con il pubblico e creare voglia di partecipazione e condivisione. E questo non è un dettaglio da poco visto che, in questo contesto, i marchi sono chiamati a vincere la corsa alla “connessione” con il proprio pubblico.
Per imparare a farlo al meglio e superare i competitor, è fondamentale saper “maneggiare” le storie che incantano, favolosi strumenti per connettersi alle persone e dare loro la possibilità di soddisfare la voglia di emozionarsi. È per questo motivo che i brand devono veicolare il proprio messaggio in forma narrativa, lavorando secondo una strategia prolungata nel tempo e veicolata sui differenti canali che si è deciso di sfruttare.
Le carte vincenti di una storia che incanta
A fare la differenza tra una storia che incanta e una che non riesce a farlo sono armonia e ritmo. Perché, citando ancora Fontana: “non è importante solo cosa raccontiamo, ma è essenziale come lo raccontiamo”.
Il ritmo, in particolare, parte da una iniziale fase di calma che permette di far conoscere il protagonista della storia e il suo mondo. Si passa, poi, al momento dei problemi e delle difficoltà, che il protagonista affronta con impeto e supera per ritrovare la quiete iniziale. È il classico schema: situazione-problema-soluzione, in cui il brand (o servizio) assume il ruolo di soluzione del problema del pubblico-protagonista.
Ed è chiaro, quindi, come per modellare una storia che funzioni occorra partire proprio dall’individuazione del problema a cui quello che si pubblicizza diventa la soluzione. Come illustrato da Fondana, i temi principali delle storie che incantano sono la cura, intesa come impegno verso qualcosa o qualcuno, il potere-salvezza, e la trasformazione e i cambiamenti, che richiedono uno sforzo per raggiunge il proprio obiettivo.
Ma uno storytelling che incanta può occuparsi di semplicemente di dati e fatti, per risolvere praticamente il problema; di legami che portano a costruire relazioni importanti; di valori, riguardano questioni morali, etiche ed esistenziali. L’aspetto fondamentale di cui tenere conto è ciò di cui il pubblico ha bisogno. Per scegliere i propri temi è, infatti, necessario concentrarsi sul proprio pubblico e sulle sue “paure più profonde”. Perché, “gli attivatori cognitivi sono sempre legati a delle paure specifiche”.